L’oratorio di San Giacomo Maggiore, dipendente dalla parrocchia di San Biagio, risulta esistente dal 1530. L’affresco della Madonna in trono con a fianco il Risorto e Santa Liberata, realizzato sopra un dipinto più antico con una figura femminile, conferma l’origine della struttura nella prima metà del secolo XVI. Collocato sul confine con il veronese, l’oratorio passò alla Diocesi di Mantova, con la parrocchia di San Biagio, il 23 gennaio 1787. La struttura d’impianto cinquecentesca è addossata alla casa canonica ed è fiancheggiata da un campanile a pianta quadrangolare e coronamento a piramide.
La facciata, priva di ordine, ha un frontone triangolare; al centro, una porta architravata è fiancheggiata da due alte finestre. L’interno è a pianta rettangolare con aula, presbiterio ed abside accorpati in un unico ambiente voltato a botte. L’altare in pietra rossa, con porte laterali coronate da due statue lignee raffiguranti l’Immacolata e Sant’Antonio da Padova, disgiunge lo spazio interno, creando alle spalle un ambito secondario. Due semicolonne in pietra rossa reggi vaso marcano i lati del presbiterio. Sulla parete di destra si trova una statua di santa Eurosia (patrona degli agricoltori) martirizzata da un saraceno, e sul fondo una tela raffigurante San Giacomo Maggiore, datata 1603.
Commitente del convento è Paolo Emilio Gonzaga dei conti di Novellara che proprietario della tenuta di Susano, fa costruire il complesso nel 1614 su progetto dell’architetto Antonio Maria Viani. Nel 1619 dona l’intera costruzione ai Padri di San Domenico che prendono possesso della struttura nel 1622. In quell’anno Paolo Emilio Gonzaga, soldato a Lepanto nel 1571, era già morto ed era stato sepolto nella chiesa di Susano, in una tomba sotto la cupola, dove ancora si trova. In seguito alle deliberazioni dell’Imperatore Giuseppe II, il convento è soppresso nel 1787. Nello stesso anno la struttura è acquisita dalla Duchessa di Modena, proprietaria della vicina corte. Negli anni ’70 del secolo scorso, a causa di una sciagurata incuria, la chiesa e il convento vanno in rovina.
Sono restaurati tra il 1992 e il 1993. I preziosi arredi interni della chiesa tra i quali gli altari lignei del Seicento, sette grandi tele di Francesco Borgani, una tela di Pietro Facchetti, due di Francesco Marcoleoni, sono stati trafugati tra il 1970 e il 1985. L’interno della chiesa a doppia pianta centrale, presenta un’aula a base quadrata con volta a crociere a cui si affianca il presbiterio coperto da una cupola semisferica. Adiacente alla chiesa si trova il chiostro rettangolare, scandito da pilastri a coppie di lesene, con al centro una vera da pozzo seicentesca. La rimessa dei cavalli, oggi adibita a ristorante, è stata aggiunta nel secolo XVIII.
Il complesso di corte Bazza si sviluppa in linea lungo la strada che attraversa il piccolo borgo omonimo. E’ costituito da un massiccio fabbricato padronale al quale si affiancano le case dei salariati e l’oratorio dedicato a Sant’Antonio Abate all’estremità ovest verso strada; un portico e corpi rustici sul retro. L’accesso alla corte, in fregio al palazzo padronale, separa quest’ultimo da una vasta aia in cotto delimitata su due lati da un canale e da una barchessa sotto cui venivano depositati i covoni di riso. L’aia serviva per l’essicazione del bianco cereale dopo la trebbiatura.
L’intero complesso è realizzato tra la fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento dal nobile Antonio Dalla Valle, anche se oggi si presenta in forme ottocentesche. Straordinario è il ciclo pittorico di fine Cinquecento che affresca l’atrio del piano terra del palazzo. Raffigura i dodici mesi dell’anno e i relativi lavori con scene di vita ordinaria molto realistiche, ma che possono essere lette anche in un’ottica di fede in quanto facenti capo a due affreschi religiosi: il Padre eterno benedicente e il Cristo deposto dalla croce i quali, collocati simmetricamente sopra le due grandi porte, sono di raccordo tra le sei scene alla loro destra e le sei alla sinistra dando al lavoro umano, anche il più umile, il valore di opera di creazione e di redenzione.
Il ciclo di affreschi dell’atrio del palazzo padronale di corte Bazza decora la parte superiore delle quattro pareti, sotto il soffitto a cassettoni. La successione dei mesi, ognuno raffigurato con una scena particolare, è scandita da colonne dipinte e ogni scena riporta al centro un tondo con il segno zodiacale sovrastato da un sole a otto raggi, mentre nella corona circolare, suddivisa in due, si indica a destra la durata del giorno alla metà del mese e a sinistra la notte col crescente lunare e le stelle. Gli affreschi raffigurano i lavori della campagna e in alcuni casi compare la figura del padrone.
Partendo dalla figura del Cristo deposto dalla croce, sopra la porta anteriore di ingresso, si presentano in successione, a sinistra: scena di caccia (Gemelli), trebbiatura del grano (Leone), malattia del padrone, assistito da moglie e medici (Vergine), vendemmia (Bilancia), lavorazione del mosto (Scorpione), aratura e semina (Sagittario). Partendo dalla figura del Padre eterno benedicente, sopra la porta posteriore d’ingresso si succedono: la lavorazione della carne del maiale (Capricorno), il padrone servito a tavola con paesaggio esterno innevato (Acquario), tre contadini in lavori campestri (Pesci), la potatura degli alberi (Ariete), scena di caccia (Toro), la mietitura del grano (Cancro).
La prima chiesa plebana di Villimpenta, dedicata a San Michele Arcangelo, sorge fuori dalle mura castrensi nella seconda metà del XIV secolo. Un ulteriore edificio religioso, probabilmente un oratorio dedicato a Sant’Andrea, si trovava in castello sin dal XII secolo. La parrocchia dipende dalla Diocesi di Verona fino al 1787 quando per decreto dell’imperatore Giuseppe II d’Austria passa sotto quella di Mantova. Ottenuta l’autorizzazione di demolire la vecchia chiesa nel 1673, si inizia la costruzione dell’attuale edificio che nel 1675 è compiuto e nel 1682 viene pavimentato. L’intervento è promosso dall’allora parroco Giovan Battista Terni e sostenuto dal conte Massimiliano Emilii, cavaliere dell’Ordine del Redentore e ricco proprietario terriero in Villimpenta.
La facciata del tempio è scandita nella parte bassa da quattro snelle lesene tuscaniche su piedistallo. Nel mezzo il portale d’ingresso è terminato da un fastigio centinato con calotta a valva di conchiglia mentre ai lati due nicchie sono inserite in una partizione verticale a due specchiature. Sopra il cornicione, chiude la composizione un sopralzo ad edicola, con finestra tamponata nel mezzo e frontone triangolare. L’interno, ad aula voltata a botte, è scandito in cinque campate da lesene e archi di cui i due mediani corrispondenti alle cappelle laterali. Il presbiterio e l’abside rettilinea sono coronati da una volta a crociera. La copertura è stata interamente rifatta nel 1959.
Gli altari interni e la balaustra sono opere di fine ‘600 del tagliapietre veronese Giovan Battista Rangheri. A Francesco Maderno di Lucerna si devono le sculture in marmo di Carrara. L’altare maggiore (1685-1686) rialzato, con tre gradini, ha un paliotto con cartelle polilobate. Sopra, si eleva un tabernacolo ottagonale con colonnine, decorato dal bassorilievo dell’ostensorio eucaristico e da quattro nicchie con gli evangelisti. Il tabernacolo è coronato da sei angeli, dalla colomba dello Spirito Santo e da una lanterna con la statua della Madonna Assunta eseguita nel 1695 da Gabriele da Vicenza. L’altare culmina con il Cristo Risorto assiso sul globo che sovrasta la cupola dell’edicola marmorea.
Ai lati della mensa si trovano i bassorilievi con San Michele Arcangelo e Sant’Andrea. All’ingresso del presbiterio ci sono due tele di Biagio Falcieri del 1684 con a sinistra la Madonna del Carmine, san Giuseppe, san Giovanni Battista e le anime purganti; e a destra l’Immacolata con san Zenone e le sante Lucia e Agata. Nel paliotto della cappella laterale di sinistra, si trova una formella con la Madonna del Rosario, opera del Maderno. Nella cappella di destra con stemma degli Emigli, c’è una crocifissione con i santi Rocco, Filippo Neri, Francesco, Antonio da Padova, opera del 1683 di Santo Prunati. Nella navata si trovano i dipinti di Biagio Falcieri del 1684, raffiguranti Sant’Andrea Apostolo, San Pietro Apostolo, San Giovanni Evangelista, San Michele Arcangelo.
Costruita nel 1692 per volontà di Pietro Galilea, l’edificio attuale sostituisce una precedente pieve. L’interno, ad aula unica, è ritmato da lesene tuscaniche. L’altare è realizzato nel 1697 sul modello di quello della parrocchiale, da Giovan Battista Rangheri. Rialzata da due gradini si trova la mensa tripartita con dossale a cartelle polilobate. Un tabernacolo a tempio si eleva sopra i gradini; al centro si apre una nicchia con frontone curvilineo con sopra angeli reggi corona e alla base un putto reggi ghirlanda. Una cupola costolonata e decorata da cartelle chiude la composizione. L’attuale statua riprende i caratteri della precedente, in terra cotta policroma, trafugata nel 1977.
Il nome Pelagallo significa presso il laghetto. Seguendo il corso del Fissero, da Casale verso Pelagallo, s’incontra l’oratorio del primo quarto del Seicento di Sant’Isidoro, patrono degli agricoltori. Accanto, un ponte del secolo XIX consente l’attraversamento del Fissero, il cui nome fa riferimento all’abbondanza di pesce che le sue acque fornivano. L’oratorio si presenta collegato alla villa e corte dei nobili Facipecora-Pavesi. L’esonartece d’ingresso ha una facciata tripartita secondo lo schema della serliana, ed è concluso da una cimasa ad edicola con timpano a vela. Lo spazio interno è articolato in due ambiti a pianta rettangolare. L’altare ha un’ancona riccamente decorata con putti e lesene di ordine composito. Entro una nicchia si trova la statua di Sant’Isidoro che ha sostituito l’originale dipinto. Nella controfacciata c’è lo stemma dei committenti.
La villa, realizzata nella prima metà del XVII secolo, compone gli elementi decorativi tipici del Seicento con le forme architettoniche del secolo precedente. Il complesso si sviluppa su un’ampia area rettangolare: un arco a tre fornici in fregio alla statale anticipa la struttura che si sviluppa sul fondo della proprietà. La villa ha una pianta ad “H” con il corpo centrale, a doppia altezza, occupato da un salone. Il piano nobile è rialzato dalla quota del giardino da una cantina con muratura a scarpa. La facciata principale è scandita da specchiature alternate a finestre di cui quelle del piano abitato sono concluse da timpani triangolari o curvilinei.
I tre riquadri con bassorilievi in cotto, sotto le finestre del corpo superiore, riproducono luoghi mantovani. Il fabbricato della villa è preceduto da una serie di elementi architettonici che enfatizzano lo spazio del giardino antistante. Due fabbricati simmetrici e simili, uno adibito a cappella con campanile e uno a deposito e abitazione, delimitano il muro di cinta della proprietà, interrotto da un ingresso a tre fornici. La cappella dedicata all’Assunzione della Vergine ha una facciata a doppio ordine sovrapposto, con capitelli fusi nella trabeazione, ed è conclusa da un timpano triangolare. All’interno, una scenografica pala d’altare incornicia una seicentesca tela dell’Assunta.